Aprile 2016

Eccoci ad aprile!

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Spero vi sia piaciuta la foto che avete trovato nel calendario e l’atmosfera surreale nella quale sembra immersa quella scena.

Ho spesso il dubbio se sia opportuno spiegare nei dettagli le foto, perché credo debbano essere vissute il più possibile senza avere troppe informazioni e solamente per il potere evocativo che hanno. Ma non penso che in questo caso la spiegazione possa rovinare troppo l’atmosfera. Perché quella struttura simmetrica, con le finestre ordinate da cui si affaccia un uomo, le loro tracce di luce sul pavimento in legno e quei panni stesi ad un filo tirato, appartengono ad una nave. Una nave dai colori del Rex di Fellini e le geometrie di De Chirico. Un battello fluviale inglese finito in Myanmar non si sa come. E forse questo meriterebbe una storia a parte. Gli inglesi, in epoca coloniale, lo usavano per lente e zanzarose crociere fluviali sull’Irrawaddy e così continuarono ad usarlo i birmani finché i danni del tempo non furono troppi. Oggi giace attraccato nei pressi di Mandalay ed è usato come condominio da un paio di famiglie che sul fiume vivono e lavorano, con barche più recenti, piccole e manovrabili.

Tra un gigantesco motore prodotto a Glasgow ormai inutilizzabile e sale che, senza sedie e tavoli, sembrano ancora più grandi, quei piccoli abitanti si aggirano e paiono smarriti pur sapendo esattamente dove andare e cosa fare, creando dipinti surrealisti semplicemente stendendo i loro vestiti e guardando verso un orizzonte che non si riesce a distinguere dalla luce.

Visto che quel battello è ormai un grosso ammasso di ferraglia, che viene rattoppato quanto basta per non invecchiare troppo, perché non parlare un po’ di chi questo metallo lo produce?

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Le fonderie. Non dovete immaginarvi gigantesche acciaierie con ciminiere, cumuli di carbone e centinaia o migliaia di operai. Anche in Myanmar esistono ma, oltre a quei giganteschi impianti, ce ne sono di più piccoli, alcuni minuscoli, che si occupano di quello in cui i birmani sono maestri. Il riciclo a chilometro zero. Rifondono barattoli, vecchi bulloni, pezzi di tubi, rubinetti, recuperati nel quartiere o poco più in là, per creare tombini, pentoloni per i monasteri, chiavi inglesi… Non si fa molta fatica ad entrare e a gironzolare tra crogioli, colate, stampi fatti in sabbia pressata… Le condizioni di lavoro sono davvero dure e le norme di sicurezza sono quanto di più lontano dalle nostre abitudini si possa trovare, ma la dimensione famigliare di quelle piccole imprese rende tutto un po’ più sopportabile. In infradito e a mani nude movimentano metallo fuso la cui luce si sostituisce al sole e alle lampadine, in turni massacranti e fumi per niente salubri, non rinunciano a qualche sigaretta, portata orgogliosamente all’orecchio e accesa, chiaramente, appoggiandola appena alla colata.

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