Luglio 2016

Ciao a tutti,

07LUGLIO

Eccoci a luglio, spero stiate bene e continuiate a sfogliare il calendario con interesse. Come avrete notato, la foto di questo mese si allontana dalle precedenti (e dalle successive) perché il soggetto, per quanto non sia un modello, è in posa. Si tratta del proprietario di un tea shop nel quale mi fermavo ogni tanto per fare colazione, un energico ometto sempre intento a friggere e preparare lapei. Il suo tea shop era sul ciglio di una strada che all’alba veniva invasa dalla luce del sole e da tutto quel groviglio indistinto di persone che iniziano la giornata, un luogo eccezionale per scattare fotografie comodamente seduti ad un tavolino sorseggiando un tè. Come sempre, nei luoghi che frequento e nei quali sono accettato senza troppi problemi, non insisto nel fare foto ai proprietari, a meno che non lo vogliano, ed è stato lui una mattina a chiedermi questo suo “ritratto” che non poteva prescindere, a suo dire, da un altro ritratto, il ritratto del suo eroe, nonché eroe di tutto il Myanmar: Aung San. Padre della nazione e padre di Aung San Suu Kyi, fatto uccidere dal suo rivale U Saw pochi mesi dopo aver dichiarato l’indipendenza della Birmania. Un uomo che, avendo avuto contatto con il potere per così poco tempo, non si è lasciato macchiare da tutto quello che l’esercizio del potere porta con sè, un eroe puro il cui ritratto, come il ritratto di sua figlia, resta ben esposto in ogni casa in Myanmar, mentre fino a qualche tempo fa doveva essere nascosto.

Negli ultimi anni infatti il regime ha perso potere e le ultime elezioni sono state vinte con una maggioranza schiacciante da Aung San Suu Kyi, risultato che ha permesso un cambiamento quasi inimmaginabile pochi anni fa, anche se i ministeri principali e i ruoli di maggior interesse rimangono nelle mani dei militari. Il cambiamento continuerà negli anni a venire e a sentire la gente parlare di futuro si percepisce una certa fiducia. Non ci vuole molto però per ricordarsi di cosa poteva avvenire fino a qualche anno fa.

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Quelli che vedete ritratti sono i Mustache Brothers, o almeno quello che ne rimane; inizialmente erano in tre, due fratelli ed un cugino, ultimi discendenti di una famiglia di burattinai che divertiva la gente dei villaggi. Durante gli anni del regime decisero di fare del loro lavoro una missione e, usando l’arma più potente in loro possesso, la satira, lottarono contro le ingiustizie e gli abusi che la gente era costretta a subire quotidianamente. I loro spettacoli che, villaggio per villaggio, con  l’ironia e la derisione del potere, cercavano di aprire gli occhi alle persone, a non far provar loro paura e a reagire, divennero presto illegali. Questo non bastò e c’era sempre chi, sfidando la legge, accorreva alle loro esibizioni, tra loro anche Aung San Suu Kyi. Così il regime calcò ulteriormente la mano e il capo carismatico dei Mustache Brothers, Par Par Lay, venne arrestato più volte e condannato a cinque anni di lavori forzati, per poi morire per una patologia renale che molti collegano ad un avvelenamento causato dalle acque malsane e ricche di piombo delle carceri.

I Mustache Brothers ora sono in due: Lu Maw e Lu Zaw, possono tenere i loro spettacoli alla luce del sole, ma devono farlo in inglese, così il loro pubblico è composto per lo più da turisti di passaggio e non più dalla gente dei villaggi e loro non rappresentano più un pericolo per quel potere che, seppur indebolito, continua a muovere parecchie pedine in Myanmar. Sono andato ad un loro spettacolo a Mandalay e poi tre o quattro volte la mattina a casa loro per fare una chiacchierata, un paio di foto ed un saluto. Lu Maw è il più estroverso dei due e anche quello che parla meglio inglese, mi ha raccontato la loro storia e ha voluto qualche foto da appendere tra i ricordi di una vita. Così ci siamo messi a studiare un ritratto che potesse rappresentarlo e dopo poco l’idea è arrivata. Come molte case in Myanmar a chiudere l’ingresso c’è una semplice serranda metallica che Lu Maw usava, nel racconto concitato dell’arresto di suo fratello, per rappresentare le sbarre della prigione e così abbiamo deciso che non ci potesse essere foto migliore di lui che con quelle sbarre riusciva a giocare e a trasformarle i qualcosa di cui poter ridere.

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Appena vista la foto ha cominciato a gridare –Viking! Viking!– e a ridere. Missione compiuta…

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