Marzo 2016
Ciao a tutti,
Eccoci a marzo.
Inizio col raccontarvi qualche dettaglio della foto che trovate nel calendario. Quelle tre persone che vedete godersi un meritato riposo, sono tre ragazzine che per vivere fanno le aiutanti dei muratori. Perché in Myanmar, come in quasi tutta l’Asia, a portare mattoni sulla testa, a preparare il cemento e a spostare la sabbia ci pensano le donne. Gli uomini sono invece dotati di maggior talento nel fare muri e giocare col cellulare, mentre queste sgobbano. Erano giorni che inseguivo i loro cappelli a cono e i loro gesti ma loro, con una timidezza che non ci appartiene più, ad ogni mio tentativo di fotografarle, scoppiavano a ridere e si nascondevano l’una con l’altra. E il tutto finiva sempre in una gran risata… Ma non mi sono dato per vinto perché sapevo che nei pochi momenti liberi si concedevano qualche minuto di sonno, per compensare quello perso la mattina, quando si erano dovute alzare alle quattro o alle cinque per arrivare fino al cantiere. Dormivano sempre sul mucchio di sabbia che avrebbero poi usato per il cemento. Una a fianco all’altra, inconsapevoli della bellezza di quella composizione dei loro corpi stesi a dormire e dei loro cappelli a cono a proteggerle dal sole.
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Ora vi racconto un po’ del tè col latte del quale sono dipendente, dopo esserlo già diventato in India. Il suo nome è lapae yea o laphet yay, scrivetelo come volete, intanto l’alfabeto birmano è così diverso dal nostro che in ogni caso non andrà bene. Si pronuncia lapei, più o meno. Viene servito in ogni angolo di strada o anche da semplici venditori ambulanti. I tea shop sono i luoghi migliori in cui andare a godersene una tazza. Sono poco più che baracche con il pavimento in cemento, tavolini disordinati e sedie in plastica messe qua e là. Hanno una cucina in cui friggono continuamente e preparano i lapei per tutti quelli che dalle cinque di mattina si siedono a rilassarsi per qualche minuto. Camerieri che a stento hanno più di dodici anni, girano come api tra i tavoli, urlano e ripetono gli ordini, come fossero in un sommergibile, a quelli dietro il banco della cucina (rigorosamente a vista, non credo proprio per vanto) e al di là, altri ragazzi sono impegnati in gesti ripetitivi a preparare sempre le solite cose, ognuno con la sua funzione, ormai persi in quel continuo friggere, versare, pulire, impiattare…
Tutto ha una velocità incredibile, soprattutto se si pensa di essere qui. Basta non avere richieste strane e si viene serviti quasi immediatamente.
Dopo qualche giorno credevo di essere ormai un professionista del lapei; mi rimaneva solo un dubbio, non capivo se la mia pronuncia non fosse corretta o se ci fosse qualche altro problema, perché ogni volta che mi sedevo ad un tavolo ed ordinavo, il ragazzino di turno non si schiodava dal posto, come non avesse capito o aspettasse qualche altra informazione. Lapei lapei, ripetevo e questo rimandava l’ordine urlando (come dicesse “preparare il periscopio!” o “prepararsi all’immersione!”) e dopo qualche istante il mio tè era sul tavolo. Succedeva però in ogni posto. Così ho deciso di informarmi meglio e alla fine ho capito. Di lapei ce ne sono almeno venti tipi a seconda della proporzione degli ingredienti, che sono tè, latte condensato non zuccherato e latte condensato zuccherato, tutti versati in una tazza con gesti ampi e da altezze vertiginose. Non chiedetemi il perché…
Ho faticato parecchio a trovare una immagine che contenesse le diverse tipologie di lapei, sono cose che la gente sa e non deve scrivere (un-caffè-dec-macchiato-caldo-soia-in-vetro-mi-ci-metta-anche il-cacao è un esempio più familiare di ciò che non si trova facilmente nei menù) ma alla fine eccovi uno schema, in inglese, con quasi tutte le diverse combinazioni.
Buona lettura.
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Alcuni tea shop, sono più piccoli e intimi, a Bagan ne avevo uno di fiducia, ma di quello parleremo in un’altra occasione. Così quando vago in bicicletta e ne trovo uno meno chiassoso, magari gestito da varie generazioni della stessa famiglia, mi fermo volentieri.
Una mattina stavo gironzolando vicino ad un mercato aspettando che ci fosse la luce giusta per iniziare a fotografare, non c’era molto da fare nell’attesa e così mi sono seduto ad un tavolino di un piccolo tea shop gestito da una signora all’apparenza simpatica e dai suoi figli. Come sempre accade, l’ingresso di uno straniero crea un po’ di agitazione, non perché non sia un ospite gradito, anzi, più che altro perché quasi tutti i proprietari pensano di non avere nulla in casa che possa accontentare il suo leggendario appetito, allenato da anni di hamburger, birra e coca cola (i luoghi comuni…). Basta però ordinare un lapei e tutto torna alla normalità. Quello sanno di farlo bene. Così, seduto su uno sgabello zoppo, mentre la prima luce del mattino faceva il suo ingresso dalla porta posteriore di quella baracca, guardavo il fumo dei pentoloni, del fuoco della stufa e delle teiere avvolgere i gesti della proprietaria, imperturbabile e concentrata nel mirare una tazza di latta.
Il mio lapei era pronto.
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