Marian Al Bandak

Pubblicato su Massima Women in Sport | n° 3 | Ottobre 2013

Nata a Betlemme l'11 settembre 1989 

vive a Ramallah (Cisgiordania)

Ruolo: centrocampista avanzato

Maglia numero 10

Squadra di team: Diyar

Esordio in nazionale: 2006

Prima partita da capitano della 

nazionale: maggio 2013 

qualificazioni per la Coppa d'Asia

Allenamenti settimanali: 2 giorni 

a settimana più la partita.

Titolo di studio: laurea in finanza 

all'Università di Birzeit

Citazione preferita: Non lasciare 

che la paura di perdere t'impedisca 

di partecipare

Calciatore preferito: Leo Messi

Squadra ideale: Barcellona


Marian Al Bandak

Butta la palla di là

Abandak_001 Ventiquattro anni, passo deciso, accento spagnolo e voce timida, Marian Al Bandak, capitano della nazionale palestinese di calcio femminile, si smarca già dal primo istante dagli stereotipi; che questi derivino dal disprezzo o dalla commiserazione, dall’odio o dall’ammirazione, Marian è già quattro passi più in là. Nata a Betlemme, emigrata in Cile con la famiglia e poi tornata in Palestina a Ramallah, Marian non porta il velo, è laureata, parla inglese e ha una canzone preferita meravigliosamente normale. Con il suo esempio, può rappresentare un futuro possibile delle donne palestinesi, anche di quelle che il calcio non sanno davvero cosa sia.

Da quando Marian ha iniziato a giocare molto è cambiato, fino a qualche anno fa una bambina che per indole o imitazione iniziava a calciare un pallone, pensava di essere l’unica a farlo in tutto il paese e mai avrebbe immaginato una squadra femminile di calcio, figurarsi una nazionale. Ma poi qualcosa è cambiato. Complici i cortili delle scuole, quelle bambine, a cui era stato fatto credere di essere sbagliate, si sono incontrate, ormai ragazze, e hanno dato inizio ad un’avventura che nessuno poteva prevedere. Poter giocare senza divieti era una conquista straordinaria e quando Marian ha ricevuto le sue prime scarpe da calcio, le ha indossate per un giorno intero, così come hanno fatto le sue compagne e così come ha fatto, almeno una volta, chiunque abbia giocato a calcio. Ma in Palestina, il rumore di quei tacchetti sui pavimenti in graniglia delle case divorate dal sole, sotto lo sguardo perplesso di madri e nonne, era molto più di un capriccio, era il ritmo di una piccola rivoluzione.

Albandak_002La prima squadra di calcio palestinese ha impiegato anni per arrivare ad undici giocatrici, i primi tempi sono stati duri, ma ora il campionato può vantare dodici squadre ed una nazionale. Le sfide hanno spesso risultati iperbolici che riflettono le differenze di preparazione e di possibilità di allenamento; a Betlemme, dove Marian si allena, l’unico campo regolamentare viene concesso solo per le partite ufficiali, essendo riservato alla squadra maschile e le ragazze si accontentano del piccolo campo in cemento della Diyar Academy, dove sul muro perimetrale qualcuno ha dipinto una colomba.

Alla difficoltà di giocare a calcio si sommano quelle della vita in Palestina, che vedono, paradossalmente, Marian e delle sue compagne alleate di chi, in altri momenti, critica la loro vita al di fuori della tradizione. La storia della nazionale occupa gli stessi giorni di quella del muro tra Israele e Palestina, la vita che cambia, scandita dai passaggi ai check-point, l’incognita della possibilità di attraversare frontiera ad ogni incontro internazionale. Le “ragazze coi tacchetti” rappresentano una Palestina laica, moderna, capace di confrontarsi col mondo, l’immagine di un paese che non fa certo comodo a chi vorrebbe fosse considerato arretrato e fondamentalista.

Credere però che queste ragazze, superate le mille difficoltà, si accontentino di scendere semplicemente in campo è un errore. Lo sa bene l’allenatore della Siria, che dopo averle snobbate giocandosi per scherzo la testa per una vittoria di almeno cinque a zero, si è dovuto rimangiare ogni parola, vedendo la sua squadra sconfitta cinque a tre. Marian ne parla con un orgoglio sportivo puro, è la vittoria a cui è più legata.

Di strada ne rimane molta, nonostante l’aiuto della FIFA e le prime affermazioni internazionali ma Marian, che da tre anni allena le squadre under 14 e under 16, non vuole rinunciare al sogno di vedere le sue ragazze vincere un mondiale. Pare impossibile ma se una partita giocata, un check-point superato, una famiglia disposta ad accettare una figlia calciatrice, sembrano tutti granelli senza quasi peso nel futuro della Palestina, Marian ne parla con la serenità e la freschezza di chi sa che ognuno di quei granelli sta cadendo sul piatto giusto della bilancia. “Times are changing”, dice sorridendo, come non crederle?

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Fotografie di Guido Bollino | Betlemme, Ramallah | 2013

Convivere con il muro

Gli eventi legati al conflitto israelo-palestinese hanno segnato in modo drammatico la vita in Cisgiordania. L’esempio più evidente è la barriera di separazione tra i due paesi costruita, a partire dal 2002, tra polemiche, modifiche del tracciato e ricorsi alla corte suprema. Lunga più di 700 chilometri, in alcuni tratti supera gli otto metri di altezza e ha torri di guardia e avvistamento su tutto il percorso. Chiamata anche muro della vergogna e spesso paragonata a quello di Berlino, ha diminuito drasticamente la possibilità di movimento degli abitanti palestinesi oltre a non consentire contatti tra la Cisgiordania e la striscia di Gaza.

Betlemme e Ramallah, dove Marian è nata e dove vive, distano pochi chilometri da Gerusalemme e fino a qualche anno fa vi era un considerevole flusso di persone, in particolare di lavoratori, tra queste tre città. Oggi ciò non avviene più. Superare i check-point può richiedere ore o può capitare di venire respinti senza saperne il motivo. Nelle zone urbane, dove,come a Berlino, si possono trovare graffiti fatti da persone del luogo, attivisti o artisti di fama internazionale, la barriera spesso ha separato quartieri o strade. Ed è davvero impressionante come in alcuni tratti, avvicinandosi alle barriere di cemento, si possano sentire voci e rumori e volte a vedere, nel poco spazio al di sotto dei portali d’acciaio, i passi di chi vive al di là del muro.

Pubblicato su "Massima Women in Sport" | n° 2 | Ottobre 2013 

© GuidoBollino - Riproduzione riservata 

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